Una città in crisi, in cerca di rinascita, si riconosce nel segno della geografia di una foto aerea?
Read Morela fotografia raccontata
Si fotografa in silenzio, da soli.
Come mettere d'accordo l'esigenza di fotografare concentrati, in solitudine, e la necessità di spiegare come fotografare ad un gruppo di appassionati? Breve riflessione partendo una vecchia fotografia
Read MoreUna notte da solo in una grotta, per amore della fotografia.
Cosa ti spinge ad andare da solo, di notte, in un posto deserto, per vedere il mondo da un punto di vista nuovo? Cosa vuol dire vedere per il fotografo?
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Un film sul paesaggio italiano
Sono pigro solo in quello che dico io. Posso camminare due giorni senza mangiare e senza bere ma la programmazione non è il mio forte. Così mi costringo a portare a termine un lavoro preso e lasciato in continuazione per anni. Lo devo "dichiarare" come la dieta del Lunedì per convincermi.
... ho cominciato a guardare fuori dal treno che ero bambino, il primo viaggio che ricordo era un La Spezia-Catanzaro, Natale 1976 in trasferta dai parenti. Roba mitica. Poi la beve trasferta a Crotone, sempre quelle vacanze. Il treno è una sospensione dal quotidiano, un parentesi dalla realtà che solo pochi fastidiosi contrattempi riescono a spezzare. Per poco tempo, poi ricomincia il bello: sarà che sono facile alla distrazione, sarà che l'Italia è così bella: qualunque cosa mi proponga di fare per sfruttare i tempi del viaggiatore, mi ritrovo col naso sul finestrino. Non servono paesaggi particolari, tutto è degno di nota, notte e giorno, bello e brutto che sia il tempo. Fotografare dal treno è stato inevitabile. La cornice del finestrino è la mia inquadratura naturale, non serve altro che scattare. Ogni tanto arrivo ad impostare l'autoscatto e lasciare il caso a decidere del soggetto, un inconscio tecnologico volontario. I risultati sono interessanti, talvolta mi superano nelle mie pretese artistiche. L'Italia dal treno è un film che non finisce mai, ne rubo fotogrammi come posso.
Dichiarazione ufficiale: a fine mese arrivano le prime stampe per il portfolio dell'Italia dal treno, sto selezionando, è la parte più faticosa.
Ritratto di signora (quasi) sfinita
Tempo fa ho avuto l'incarico di fotografare una gara di corsa in montagna...al mare: Sciacchetrail è un durissimo percorso nel Parco Nazionale delle Cinque Terre che sale e scende per i sentieri a picco sul mare e attraversa tutti i cinque borghi liguri. Quarantasette chilometri e 3500 metri di dislivello su scalinate spaccagambe. Cosa avrà mosso duecento persone a sottoporsi a mesi di allenamento per fare tutta quella strada di corsa, senza dover andare da nessuna parte? Lionel Terray, famoso alpinista, scrisse un bellissimo libro intitolato "I conquistatori dell'inutile". La definizione calza a pennello per questi atleti che non avranno soldi né articoli sui giornali di grido. Ai più forti, gettoni di presenza, qualche maglietta tecnica. Per un fotografo creare pezzi di carta da contemplare non è poi così diverso. Ora poi le immagini restano segregate dentro un monitor. Per tutti la soddisfazione di fare qualcosa senza contraccambio "in moneta", come il vero amore. La ricerca del senso di sé e del mondo che ti circonda. Capire, conoscere, creare. Davvero così inutile?
Provate a guardare le facce di questa gente, qui c'è la gallery completa. Credo ci sia già un pezzo di risposta.
Davide e Golia
La buona fotografia nasce molto prima di essere scattata. Solitamente ci vogliono anni di applicazione, studio e osservazione. Poi tanta pratica. E sempre, attimi prima che accada, il fotografo vede la fotografia. Nel momento buono la riconosce e scatta. Nel frattempo si spera abbia messo a posto tutti i vari bottoncini che servono a realizzare la sua visione.
Qui sono di ritorno da una regata. Javelin è quella specie di nave dei pirati sullo sfondo. E' la più bella di tutte, per gli addetti ai lavori si tratta di una goletta aurica con 100 anni di vita. L'attendevo. Non è la più veloce, nata per affrontare il mare e non per fare regate, ma è sempre un piacere vederne gli alberi in lontananza.
La vedo alle spalle, il gommone vuol rientrare, per un attimo impreco alla nave che arriva. Poi capisco che si può sfruttare la situazione, veloce richiesta di galoppata al driver che mi porta giusto in tempo a poppa della portacontainer. Due scatti, uno in verticale (per scrupolo professionale, ma come sempre la scarto) e questo che vedete.
L'utile contro l'inutile: merci che viaggiano, vendono, producono contro bellezza e basta.
Di cosa abbiamo più bisogno?
Viaggiare in auto, lentamente, per l'Italia è una continua sorpresa. Per un fotografo è quasi fastidioso. Non riesco mai a ripartire, ad ogni curva una fermata obbligatoria. Chi viaggia con me ormai lo sa. O rimane a casa o raddoppia la tabella di marcia. Questi salici che salgono fuori dal lago Trasimeno erano un richiamo irresistibile. La piatta luce di una grigia mattina li stacca dallo sfondo.
Ho fotografato Francesco Cito
Francesco Cito (intervista su NikonSchool "Sguardi")non ha in Italia la notorietà che si merita. Credo si possa definire un "cervello in fuga". Ha dovuto cominciare all'estero perchè qui nessuno se lo filava, poi quando è arrivato alle nostre redazioni, lavorava perché "è quello che pubblica su Life". Credo sia stato il primo reporter ad entrare in Afghanistan (qui un'altra bella intervista su FOTOUP) allo scoppio della guerra con la Russia, si fece 1200 chilometri a piedi con i mujahidin.
Quando stavo lavorando con Massimo Zarucco a Trento per UNPAESEINSCALA mi vedo salire in sala di posa questo bel tipo con due Nikon al collo, barba da esploratore (non per nulla il suo mito è sempre stato Walter Bonatti!) e giubbino multitasche, il vero prototipo del fotoreporter con la faccia da film. Si guarda intorno, chiede cosa stiamo combinando, io rispondo "da collega" (mi vergogno ancora a pensarci). Continuo a pensare dove ho già visto quest'uomo. Alla fine decide di farsi fotografare come gli altri e mentre si siede mi si accende il lampo: avevo appena ammirato su una rivista il suo splendido reportage sui matrimoni a Napoli (quello che gli ha fruttato un World Press Photo, non l'unico nella sua carriera!). Lo guardo e gli dico "ma... tu sei Cito?". Alla risposta affermativa chiamo Massimo e abbiamo passato una buona mezz'ora in chiacchiere e ritratti reciproci. Anni dopo lo incontrai a Spezia durante una sua serata organizzata da Mauro Fioravanti. In quell'occasione facemmo una bella chiacchierata accompagnandolo all'albergo, mi sembrava di parlare con la storia della fotografia. Scianna lo ha definito il miglior reporter italiano.
Nel libro di Trento non gli abbiamo dedicato una paginona intera perché ci eravamo imposti di trattare tutti allo stesso modo: lui avrebbe meritato più attenzione anche solo per il suo ritratto ma ci sembrava di far una concessione ad un mito, non volevamo essere di parte. Ne sono un po' pentito.
Mi ricordo che scattò qualcosa anche lui. Magari gli giro l'articolo e faccio richiesta di scambio con il libro che non gli ho mai mandato.