Alcune sere fa ho partecipato alla Spezia alla presentazione dell’ultimo libro diSara Munari “Storytelling a chi?” alla presenza dell’editore Grazia Dell’Oro: eravamo nellanuovissima ed affascinantemediateca Ligure con l’organizzazione perfettadel circolo “Liberi di vedere”. Brava fotografa e docente molto esperta, Sara ha condotto per mano i molti presenti ad ammettere che “non so perché fotografo questa roba in questo modo”!
Ascoltandodiversi interventi le domande giravano sempre attorno a due questioni:
- lo stile e la ricerca del proprio personale modo di essere riconoscibili coeme autore
- il fatto che “io fotografo solo per me stesso” con tutto quello che ne consegue, nel bene e nel male.
Ogni volta che mi imbatto nel concetto di stile, da quando conosco Daniele Tamagni scatta immediato il link ai suoi lavori e mentre ascolto Sara penso a lui: intanto altri parlano e non sono rapido nel reagire ai miei pensieri. Visto che invece spesso...lo sono troppo (creando disastri!) preferisco rimuginare tra me e me.
Ne scrivo ora a bocce ferme.
Mentre ascoltavo pensavo due cose:
A proposito dello stile: è una grossa stupidaggine cercare il proprio stile, o ce l’hai o non ce l’hai. E se lo cerchi vuol dire ovviamente che non ce l’hai, per lo meno non ce l’hai ancora. Quindi fai molto meglio a leggere (non solo di fotografia, non solo di tecnica!), fotografare e studiare invece che cercarlo. Vedi mai che migliorando la tua formazione e le tue capacità questo benedetto “sacro Graal” del fotografo salti fuori spontaneamente! Ma ancor prima di questo: in cosa consiste lo “stile”? Mi sembrava che tra i presenti girasse la sensazione che lo stile sia tutta quella serie di questioni tecniche ed espressive che rendono riconoscibile un artista o un fotografo. E che ognuno abbia come scopo del suo fotografare il cercare quell’elemento (o quella serie di elementi) che permetta di rendere vendibili le proprie immagini. E quindi aver successo e riconoscimento. Tra le righe si capiva perfettamente che questo non era il pensiero di Sara Munari ma l’argomento è scivolato poi via, superato da altre questioni.
Sulla faccenda “stile” si scambia sempre la causa con l’effetto: "non sono un autore, cerco uno stile e così divento un autore"! E’ esattamente l’opposto: "sono un autore, quindi, ovviamente, ho il mio stile"!!! Non mi viene altro modo di spiegarmi che paragonarlo alla voce: lo stile è come la tua voce, non si confonde con quella di nessun altro, puoi lavorarci sopra, affinarla, ma il timbro, la riconoscibilità sono quasi immodificabili, come un’impronta digitale (salvo virtuosismi di alcuni imitatori). E’ il tuoDna, non frutto di ricerche e allenamenti (non solo!).
Lo stile fotografico è frutto delle scelte legate al linguaggio e sarà tanto piu’ efficace quanto esse sono motivate da esigenze di contenuto e messaggio. Se invece vengono cercate “a posteriori” (nel senso di adottare alcune tecniche, indipendentemente dal soggetto e dal messaggio, solo perché ti piacciono e hanno successo) saranno invece lo scimmiottamento di qualcun altro, rendendo il tuo lavoro l’ennesima brutta copia del fotografo di riferimento. O anche una bella copia...ma sempre una copia! Il mondo è pieno diartisti che “faccio sempre quella cosa lì perché almeno poi sono riconoscibile”. A volte capita di ottenerequalche successo, questione di congiunture e botte di fortuna, ma alla lunga tutto questo non paga: diventa frustrante, magari smetti di fotografare.
A proposito del “fotografo solo per me stesso”: qui Sara, con la sua “rude” simpatia è entrata a gamba tesa: se fotografi per te stesso, perché vieni alle letture portfolio?!?! Perché impesti la rete delle tue fotografie “personali”? Pensi davvero che il mondo non ne possa fare a meno? Io aggiungerei che il “fotografo-solo-per-me-stesso” è incredibilmente impermeabile alle critiche alla quali reagisce sempre in maniera scomposta e concludendo “ a me piace così”. Non riesce ariconoscere che il linguaggio fotografico ha delle regole e che non è sempre e solo vero che “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”. Se questo è quello che pensi rimarrai davvero a fotografare solo per te stesso: nel senso che le tue immagini saranno così insignificanti che nessuno avrà voglia di perderci sopra del tempo prezioso.
Il mio pensiero è che entrambe le questioni siano risolvibili andando alla radice delle motivazioni che ti spingono a fotografare: e di questo si è parlato molto. Ma ci si è fermati alle motivazioni che ti spingono a “scegliere” un determinato argomento. Io andrei ancor piu’ indietro: non “cosa ti spinge a fotografare questo o quello, in questo o quell’altro modo” ma “cosa ti muove fin dal primo momento che ti è venuto in mente di toccare una macchina fotografica?”.
Perchè hai deciso di dedicarti a questa attività? Come ben diceva Sara, a parte alcuni esempi illustri di fotografia “terapeutica”, nessuno fotografa per sé stesso. Ora, visto che prima o poi deciderai di contribuire all’immenso volume di fotografie prodotte e mostrate ogni giorno, hai una grande responsabilità: perché il problema è AVERE QUALCOSA DADIRE! Questo ti rende unico, questo ti rende riconoscibile, questa è la tua voce unica, perché unico al mondo è il tuo punto di vista: ma devi essere consapevole e desideroso di vedere, e devi sapere cosa stai vedendo e sapere come dirlo. Richiede fatica e tempo (e arriviamo al dunque): devi essere disposto a lavorare duro. Accade solo se le tue motivazioni sono molto forti. Se fotografi solo per soddisfare il tuo egocentrismo da social network cadrai sicuramente nella “ricerca dello stile”.
Conseguenze dirette:
aggressività repressa: ci sarà sempre qualcuno migliore di te nell’applicare quella tecnica,
frustrazione: ad un certo punto finirai economicamente le possibilità di cambiare attrezzatura e non saprai piu che scusa inventare per giustificare i tuoi insuccessi.
Oppure sarai molto bravo in queste cose e avrai sempre piu’ soddisfazioni ma non le sentirai come giusta ricompensa al tuo lavoro, ti trasformeranno in un insaziabile scalatoredi “like” e per far questo arrivi a pensare che “sì, tarocco quella foto, ma almeno vincerò il concorso, che male c’è, non è mica un omicidio?”.
Se non hai nulla da dire hai davanti due strade:
smettere di fotografare.
smettere di assillare gli altri con le tue foto, tenerle davvero per te stesso.
Ma c’è una terza via: connettiti davvero ai tuoi interessi, a ciò che ami, interrogati su cosa ti preme davvero e allora buttatial duecentopercento nei tuoi progetti, pensando davvero a fotografare per te stesso, per quello che ti interessa,fregatene di esempie fotografi di successo, studia tanto e fa’ come ti pare: solo questo ti permette di stare tanto tempo su un lavoro, di faticare e persistere nel raggiungimento di un buon livello fotografico.
Incredibilmente risolverai i due problemi da cui siamo partiti: riconoscere il tuo personalissimo punto di vista, il tuo stile: attento, non dico di“cercare” a priori...intendo proprio “riconoscere”, ad un certo punto, guardando i tuoi lavori noterai un filo comune, magari saranno altri a fartelo capire, e tu non lo stavi neppure cercando. E fotograferai davvero per te stesso sapendo però che quello che dici può interessare anche altri. Questo aspetto è esaltante, richiama responsabilità verso chi vedrà le tue fotografie, ascolterà la tua voce.
Non devi steccare.
Vale sempre la pena di faticare.